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dissuaderlo le preghiere dei sacerdoti e dei principi.

Il mugnaio, atterrito dalle minacce di Mâhûy, torna al mulino e a malincuore uccide il suo re che inerme gli si dà nelle mani. I cavalieri dì Mâhûy gliene recano l’annunzio, e due servi gettano nel fiume Zark il cadavere dell’ucciso re. Alcuni monaci, al mattino che seguì, lo trovano, lo ravvisano, l’estraggono dalle acque e gli danno onorevole sepoltura con gran pianto e cordoglio. Mâhûy, irritato di ciò, li fa tutti mettere a morte.

Così, per un poco, il tristo si asside sul trono del re dei re; ma Bîzhen, offeso da tanto ardire e tracotanza, lo assale all’improvviso con un esercito e lo uccide. Con Yezdeghird si chiude la serie dei monarchi persiani, e la conquista degli Arabi segna l’entrar nell’Iran di una nuova fede, di una nuova legge e di nuovi dominatori. Ecco le parole con le quali Firdusi termina il suo racconto, alludendo alla potestà temporale e spirituale dei Califfi, sottentrata a quella degli antichi re:

D’ora in avanti volgerassi il tempo

Sotto il nome d’Omàr, da ch’ei ci addusse
Novella fede, in cattedra mutando

Sacerdotal l’antico iranio trono.

Segue Firdusi, in un ultima pagina, a notar il giorno in cui terminò il poema, che fu il giorno d’Ird del mese d’Isfendarmudh, dell’anno 400 dell’Egira (25 Febbraio 1010 d. C). Nota l’anno di sua età che era allora il settantesimo primo, il numero dei distici del suo poema che è di sessantamila, e augura ogni bene a Mah-