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torno ai meriti del governo papale. Risposi, come potei, da uomo che non è parlatore di professione. Cacciato negli ultimi miei trincieramenti ed astretto a dir cosa che non risuonasse un elogio pel Papa, scelsi, a casaccio, un fresco aneddoto che niuno ignorava in Roma, e che Europa avrebbe saputo fra poco. Ma il mio onorevole interlocutore mi regalo di mentita tonda e formale. Ed accusommi di calunniatore impudente verso un’innocente amministrazione, di propagator di menzogne foggiate a capriccio dai nemici della religione. La sua parola imponeva si alto, che ne fui sgomento, e chiesi a me stesso se non avessi forse mentito.

L’aneddoto da me raccontato era quello del fanciullo Mortara.

Ma io rivengo a Roma e ai nostri viaggiatori del fardello. Coloro che testeso avevamo veduti sono già partiti; ne troveremo altri. Eglino s’incalzano come le onde del mare, e s’assomigliano come onda ad onda. Eccoli che si provvedono di ricordi nelle bacheche dei negozianti del Corso e di Via Condotti. S’arrestano su rosarii di picciol valore, su mosaici grossieri, sopra cianciafruscole d’oro falso e generalmente sopra oggetti di cui si compra a josa per cinque lire. Poco curano che belle sieno le cose comperate, basta che in Roma; affinchè sappiano i posteri ch’ei vi sono iti. E contrattano come a mercato; solo maravigliano, ritornando alla Minerva col loro bottino, di non aver far-