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mura stranieri, i quali non erano punto nati. Erano questi grandi artefici, scrittori di grido, diplomatici usciti dal popolo, commercianti saliti al grado di capitalisti; od anche più modestamente, uomini del mondo, che trovansi ovunque al loro posto conveniente, avvegnachè sanno vivere. L’eletta società li ha accolti non di primo acchito, ma dopo maturo esame. Ella li ha sottomessi a minuti sperimenti per assicurarsi che non arrecavano pericolose dottrine. Ella ha detto: «Se non possiamo essere più una famiglia, siamo una frammassoneria.»
Vi ho avvertito che i principi romani erano, se non privi d’orgoglio, almeno senza burbanza. Cotesta osservazione quadra a capello anche ai principi della Chiesa. Accolgon dessi benevoli lo straniero di molesta condizione, a patto però ch’ei parli e pensi siccome essi sopra due o tre questioni capitali, ch’ei veneri profondamente certi vecchiumi, che maledica di tutto cuore certe novità; o intendersi, o non entrare.
Sono su questo punto ostinatissimi. Eglino resistono al rango, alla fortuna ed anche alle più pressanti necessità della politica. Se Francia inviasse appo loro un ambasciatore che non se la intendesse, l’ambasciatore rimarrebbe alla porta dei saloni aristócratici. Se Orazio Vernet fosse nominato direttore dell’Accademia, nè il nome, ne i titoli gli dischiuderebbero alcune case, nelle quali era amichevolmente ricevuto innanzi