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suo servigio. Il quale lo approvigionava in ventiquattr’ore di palagio, masserizie, servi, cavalli e carrozze. Lo straniero rimutava panni a suo bell’agio, e faceva ricapitare le commendatizie. L’eletta società, appena chiariti i suoi titoli, ricevevalo a braccia spante. E dal momento che dicevangli: «Siete de’ nostri,» egli stimavasi come in sua casa. Ei trovavasi in tutti i crocchi; danzava, cenava, giuocava, amoreggiava; ne smenticava (bene il preannasate) di festeggiare a sua volta coloro, i quali fatto aveangli si onesta e lieta accoglienza. Dischiudeva quindi sue case alla scelta società, ed i sontuosi inverni di Roma ne ricevevano novello decoro.

Niuno straniero resisteva alla tentazione di riportar seco alcuna memoria di una città si maravigliosamente feconda. L’un d’essi sceglieva dipinti; l’altro preferiva marmi antichi; questi medaglie; quegli libri; ed il commercio di Roma facevane suo gran prò.

La state allontanava gli stranieri cosi come gli abitanti: ma eglino non si dilungavano di troppo. Napoli, Firenze o Venezia ospitavanli piacevolmente fino al ritorno della bella stagione del verno. Ed essi trovavano buone ragioni per reddirvi; avvegnachė Roma sia unica città al mondo, in cui non si vede mai tutto. Alcuni obbliavano a tal segno la loro patria, che vecchiaia e morte sorprendevanli tra Piazza del Popolo ed il Palazzo di Venezia. Coloro che ritornavano ai loro paesi natali nol facevano che quando le tasche