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Aggiungo, per non obbliarli, gli stranieri, sieno o non sieno nobili, i quali comperano a bei contanti un dominio, e, come per giunta, accroccano un titolo sul contratto. Non fa assai, che un Francese, gentiluomo ascitizio, che aveva alquanta moneta, s’è desto un bel mattino principe romano, eguale ai Doria, ai Torlonia ed al fornaio duca Grazioli.

Avvegnadiochè dal giorno che il Padre-santo ha sottoscritto il diploma in pergamena, eglino divengono eguali. Qualunque sia l’origine di loro nobiltà e l’antichità di loro casa, ei sen vanno a braccetto senza piatir di precedenza. Stringon parentadi a vicenda a rischio di scandolezzare fin nel sepolcro le nobili ceneri degli avi. I nomi d’Orsini, di Cołonna, di Sforza occorrono commisti a quello di un antico servitor di piazza. Il figlio di un fornaio impalma la figliuola di un Lante della Rovere, nipote d’un príncipe Colonna e d’una principessa di Savoia-Carignano. La questione dei principi e de’duchi, che forte preoccupava il nostro altiero Saint-Simon, mai più non avrà luogo nella romana aristocrazia.

A che fine, vivaddio? Non sanno oramai tutti, duchi e principi, esser dessi inferiori al più misero cardinale? Appena un cappuccino riceve il cappello rosso, acquista il diritto di zaccherarli tutti.

Negli Stati monarchici il re è capo nato della nobiltà. Ed un gentiluomo non potrebbe più sbardellato elogio fare di sua