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una delle più belle pinacoteche romane diceva, or fa un anno, nel salotto d’un ambasciatore: «Per me, io non ammiro che lo squisito.» Il principe Piombino, allogando una volta al signor Gagliardi, voleva pagare il pittore tanto per giorno! Il Governo ha altro per lo capo che incoraggiare le arti; que’ pochi diarii o gazzette che sono nelle mani di numerati lettori, registrano i nomi de’ loro amici cui goffamente incensano: nè gli stranieri che vanno e vengono, comecchè forniti di buon gusto, compongono un arbitrato artistico come a Parigi, a Monaco, a Dusseldorf, a Londra, dove la popolazione istrutta direbbesi un solo individuo, un uomo a mille teste. Quando un giovane di bella speme ha scosso la sua attenzione, esso nol perde di veduta, nė vi ha accorgimenti che non adoperi per incuorare chi addimostrisi timido, ritornare in carreggiata i fuorviati, approdare a tutti. E se da talvolta in scerpelloni, l’azion sua è però sempre vitale.

Se di alcuna cosa maraviglio, ella è di imbattermi in Roma in varii artefici cospicui, tali che il Tenerani nella statuaria, il Podesti nella pittura, il Castellani nell’oreficeria, Calamatta e Mercuri nell’incisione: cito i più noti. Ma la maggior parte dei rimanenti romani artefici languisce in una specie d’industria monotona e di vilissimo commercio, per manco d’incoraggiamento; sprecando metà del tempo a ricopiar copie, e l’altra ad approntare articoli per gli stranieri.