granai. Dall’alto verone del suo castello il principe vede ogni cosa, e apprende che sulla sua terra un uom di mezzo ceto, un uomo che ha sempre gli arcioni inforčati del suo cavallo, ha raccolto tante sacca di grano, che fanno tante sacca di scudi. Il mercatante di campagna viene ei stesso a confermar la novella versando in moneta sonante il fitto convenuto. Alcuna fiata ei paga più annualità in anticipazione senza alcuno sconto. Or non vi par ella impertinenza cotesta difficile a tranghiottire? E per arrota, il fittaiuolo é civile, a modo e per bene, e più istrutto del principe: egli destina più ricca dote alle sue figliuole, e comprerebbe tutto il feudo del principe pel suo figliuolo, se quegli fosse condotto a venderlo. La coltura in mani siffatte minaccia la proprietà dei grandi: cosi almeno la pensa il principe. La loro mania di continuo lavorare è grave perturbazione della solenne calma romana. Le ricchezze ch’eglino acquistano per punta di talento e di operosità recano grandissima offesa alla ricchezza morta, che è la base dello Stato e l’amministrazione del Governo. V’è di vantaggio: il mercatante di campagna, il quale non è prete, ed ha donna e figliuoli, vorrebbe porre le mani nelle faccende per la ragione ch’ei governa a maraviglia le proprie? Ei gridare agli abusi, riclamare rifornie? Quale temerità! Lo si scaccerebbe via, come un avvocato, se le industrie sue non fossero al paese necessarie, e se non