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di tributo; è una compensazione.» Questo ho io più volte sentito, ed anche voi. Aggiungesi inoltre, sulla fede di non so quale statistica del secol d’oro, che eglino sono solo aggravati in ragione di 9 lire per ognuno.
Cotesto è favoloso, nè ho a durar pena per chiarirvene. Ma, fosse verità, i Romani non sarebbero meno degni di compassione. La modicità delle imposte è la triste consolazione di un popolo che nulla possiede. Per me, e credo anche voi, vorrei pagar molto, come gl’Inglesi, ma aver pieni i forzieri. Che direbbesi del governo della Regina, se, dopo aver guasto commercio, industrie, agricoltura; disseccato tutte le sorgenti della pubblica prosperità, dicesse agl’Inglesi: «Or su,state giulivi; chè, d’ora in avanti, pagherete sole 9 lire di tributo?» Risponderebbero unanimi: «Voi avete le traveggole, signori ministri: noi vogliamo pagarvi mille lire di tasse, ma continuare a guadagnarne 10,000. » Discorso questo, che parmi non faccia una grinza.
La modicità delle imposte non consiste in un numero anzichè in un altro. Essa emerge alle relazioni fra i redditi della nazione e le sottoscrizioni annuali operate dallo Stato. È conforme a giustizia che molto prendasi da chi molto ha: quanto difforme, torre anche pochissimo dal non abbiente. Ammesso cotesto assioma, che non trascende il senso comune, avviserete meco, che l’imposta di 9 lire per ogni individuo sarebbe già alquanto pesante pe’ poveri Romani.