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Se commercio ed industria sono di poca risorsa ai sudditi del Papa, eglino trovano compenso nell’agricoltura, e bene sta. La fertilità del suolo e l’ostinato lavoro dell’agricoltore saranno impedimento che la nazione non muoia di fame. Lorquando essa paga annualmente un tributo di 25 milioni all’industria straniera, l’eccedente delle sue raccolte fa rientrare in paese una ventina di milioni. La canapa ed il fromento, l’olio e la lana, il vino, la seta ed il bestiame sono i suoi migliori redditi.

Che cosa fa il Governo? Semplice saria suo compito e da ridurre a tre parole: proteggere, coadiuvare, incuorare.

La rubrica dell’incoraggiamento troppo non aggreva il bilancio. Alcuni proprietarii e fittajuoli, che hanno lor domicilio in Roma, domandano facoltà di fondare un’associazione agraria: ma si oppone il Governo. Per giungere al fine loro, ei s’infiltrano come di straforo e a scappellotti in una società d’orticoltura, che era stata già autorizzata. E, organandosi a modo, espongono allo sguardo de’ Romani una bella collezione di bestiame, distribuiscono alcune medaglie d’oro e d’argento, offerte dal duca Cesarini. Non vi par risibile, che un’esposizione di bestiame, per esser tollerata, e passare, come a dire, inosservata, s’abbia a nascondere dietro i ranuncoli e le camelie? Non solo i sovrani laici favoriscono apertamente l’agricoltura, ma l’incuorano a grandi spese, nè credono gettare il danaro dalla finestra. Ben sanno