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che trincerarsi dietro il coraggio prezzolato di svizzera guarnigione, o la protezione rispettosa di una grande potenza cattolica. Ad ogni modo, dove l’indipendenza? dove la sovranità?
— Monsignore (risposigli), le calunnie dei nemici non falsano il concetto che mi ho pienissimo dei Romani. Mi è sott’occhio il cotidiano spettacolo del coraggio indomato di cotesto popolo che corre alla violenza, al sangue e a dare o ricevere la morte. So in qual conto Napoleone I teneva i reggimenti che aveva qui reclutato. Ultimamente, possiamo dirla a quattr’occhi, nell’esercito rivoluzionario, che fu alle prese coi Francesi, erano valenti Romani. Il perchè mi persuado che il Padre-santo non ha da uscir di casa sua per levar milizie; e che pochi anni di vigorosa educazione trasmuterebbono cotesti uomini in soldati. Quello che sembrami assai men chiarito è la necessità di un esercito romano. Vuol egli, il Papa, distendere i suoi confini con la guerra? Non pare. Ha a temere che altri invada gli Stati suoi? Impossibile. Non è egli più assicurato dalla venerazione di Europa che da una cinta di fortezze? E sorgesse, pognamo ipotesi, materia di contesa fra la Santa Sede ed una monarchia italiana, il Papa, senza colpo ferire, avrebbe modo di vittoriosamente resistere, avvegnachè egli conti più soldati in Piemonte, in Toscana e nelle Due Sicilie, che Napoletani, Toscani e Piemontesi non saprebbero inviarne contro lui. E ciò fuori di casa; ed è si spedita e netta, che il vostro ministero