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checchè gli vien fra mani, buono o reo che sia. Nè mai erasi veduto in Roma si sfondolato compratore. Ma dalli e dalli; aumentando la collezione delle anticaglie, venne meno al marchese quella degli scudi. Si ricorse al prestito. La cassa del Monte era bella e pronta: il marchese presta a sè stesso, e pone la sua collezione in pegno. Che cosa dice il ministro? Il Galli, ministro delle finanze, acconsente. Campana era stimato in Corte, avuto in pregio dal Papa, in affetto dai cardinali; noti suoi principii, provata la divozione sua al potere, ed il Governo nulla ricusa a’ suoi amici. Si concede al marchese d’imprestare a sè stesso 100,000 lire, ed egli dà pegno che supera a pezza il prestito.

Ma l’ordine ministeriale che gli dava facoltà di prender danaro dalla cassa era si avviluppato e si contorto, che Campana potè prendere, senza nuova facoltà, la bagattella di 2,647,730 lire; e tanta moneta dal 12 aprile 1855 al 1. dicembre 1856, in diciannove mesi e mezzo!

Niuno ignoravalo: il prestito non era certo nelle regole, ma non clandestino. E Campana pagava a sè stesso, l’interesse del denaro che erasi prestato.

Fu, per vero, ammonito nel 1856 con paterna bontà: gli fu mostrata, ma non messa la briglia; era si riverito in Corte!

Lo sciagurato non s’arrestò nel precipizio: non avevano neppur pensato a chiudergli la cassa. Ed ei ne levò ancora 2,387,200 lire