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d’Europa, egli è stato forzato di sloggiare in gran pressa dal Quirinale, e contare a Gaeta ed a Portici le ore impazienti che inaspriscono lo spirito dell’emigrato. Un grande e antichissimo principio, la cui legittimità non è punto dubbiosa per lui, si violava nella sua persona. I consiglieri ripetevangli à coro: «La è colpa vostra; voi avete condotta a pericolo la monarchia con le vostre idee di progresso. L’immobilità dei reggimenti è la condizione sine qua non della fermezza dei troni: non ne dubiterete più se leggerete la storia dei vostri predecessori.» Egli aveva avuto tempo per abbracciare tale sistema, lorchè le truppe ortodosse gli dischiusero di nuovo il cammino per Roma. Lieto di veder salvo il principio, ei fece a sè stesso il giuramento di nulla più mai compromettere e di regnare immobile, seguendo la tradizione dei Papi. Ma, ecco, gli stranieri, suoi salvatori, gl’impongono condizione d’andare innanzi! Che cosa fare? Non osava nè tutto rifiutare, nè tutto consentire. Fu lungamente fra due; dipoi entrò, suo malgrado, in parola; quindi si sciolse, mirando agl’interessi del futuro, dagl’ impegni contratti mirando agl’interessi del presente. Ora poi bifonchia contro il popolo, contro i Francesi, contro sè stesso. Sa che la nazione è sofferente, ma non ismette dal dire che la sventura della nazione è indispensabile alla sicurezza della Chiesa. I borbogliamenti di sua coscienza vengono soffo-