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L’indole di cotesto onorato vegliardo è composta di divozione, di bonarietà, di vanità, di debolezza, di ostinazione con un tantin di rancura che di quando in quando sberleffa. Benedice con unzione, ma con difficoltà perdona; buon prete, ma re scemo d’uno spicchio.

L’ingegno suo, che ne diede si lusinghiere speranze, si crudeli disinganni, non levasi sopra la mezzanità. Non credo che nelle cose temporali sia infallibile. L’istruzion sua è quella di tutti i cardinali italiani; nè male favella francese.

Il popolo degli Stati suoi lo ha giudicato a vanvera, fin dal giorno della sua esaltazione. Nel 1847, allorchè in buona fede desiderio esprimeva di ben fare, i Romani gli ebbero appiccato il nomignolo di grande. Che! Eccellente uomo avrebberlo dovuto appellare, che era desideroso di agir meglio de’ suoi predecessori, e di meritare qualche plauso dell’Europa. Nel 1859, al contrario, è stimato retrivo violento, perché gli avvenimenti hanno sfiduciato il suo buon volere, e soprattutto, perchè il cardinale Antonelli ritiralo violentemente indietro. Io nol trovo nè al presente odibile, nè ammirabile in passato. Compiangolo, che abbia mollato la briglia al popol suo, non avendo mano ferma per quassarla in buon punto. Compiangolo soprattutto dell’infermiccio suo stato presente, che lascia fare più male in suo nome ch’egli non abbia fatto bene.