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sedici rettori o seniori, di cui quattro del borgo e dodici del distretto, che si univano per trattare la pubblica cosa nel cenobio di Uvaldo presso il borgo, dove tenevano all’uopo apposita stanza. Fra altri patti stipulati coi Vicentini, i Perginesi si obbligarono d’essero amici dei loro amici e nemici dei nemici e di servire Vicenza con quattro cento armati nel proprio territorio e con duecento ovunque altrove.

Ecco il comune già fortemente organizzato, con un consiglio di anziani, con una sede stabile, ove tenere le deliberazioni, disponente di non ispregovole forza armata, stipulante alleanza, dedizione, e che, malgrado l’oppressione di sì feroce tiranno, seppe trovar modo di liberarsene; giacché di Gundebaldo o della sua famiglia non trovasi fatta più altra menzione nei documenti del tempo; bensì di altri feudatari successi nel Perginese, quale la famiglia di Livo. Sembra però che la dedizione a Vicenza non abbia causata alterazione di dominio nel Trentino, e probabilmente la lega fu stipulata col tacito consenso del vescovo di Trento, cui Gundebaldo era nemico come del pari eranlo i Castrobarcensi, tiranni nella valle Lagarina, e come tali in questo documento rammentati.

Governava allora la chiesa di Trento Adalberto secondo, ucciso nel 1177 da Aldrighetto di Castelbarco in una fazione non lungi da Rovereto nel luogo detto S. Ilario. Considerando che i Castelbarco come vuole la tradizione, venuti dalla Germania, erano tiranni non dissimili da Gundebaldo, e che del pari osteggiavano il vescovo, che contro questi potenti e ribelli suoi vassalli non poteva trovar appoggio che nel popolo; considerando che la chiesa di Trento ascrisse questo vescovo fra i Beati, tosto dopo la sua morte, il che non sarebbe avvenuto se non fosse stato universalmente amato e stimato come lo era dai Perginesi che ne mantennero inviolabili i diritti; considerando che, se egli mosse guerra ai Castelbarco, secondato dal comune di Trento, non poteva avere avuta altra cagione che di liberare le oppresse popolazioni, e che quindi la causa da lui sostenuta era quella del popolo; ci è forza il ritenere che Adalberto od Adalpreto, come ora si appella, fosse veramente un uomo santo, che non osteggiava il sentimento di nazionale indipendenza, che in allora infiammava nobilmente il cuore degli italiani, e che abborrendo dalle sevizie dei nordici feudatari, favoriti dai suoi antecessori o dalle brighe imperiali, aveva a cuore l’onestà, la giustizia ed il bene delle sue pecorelle.