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esisteva anche in quel tempo, ed il Comune proprietario percepiva un balzello detto pontatico da chi lo transitava; come altresì pagavano una tassa le zattere e barche che navigando per l’Adige passavano lungo la città. Questi due modi di rendita gli sono pure tolti e ciò per ridurlo in piena balìa dei vescovi. Varii documenti dei tempi posteriori fanno fede che a Trento non furono più restituiti i diritti sul ponte e sul fiume; forse la torre, che dal vescovo Vanga ha nome, perchè da lui costruita, ebbe lo scopo di tutelarne l’uso, e chi viveva in sullo spirare del secolo scorso ricordava ancora la catena che superiormente alla stessa chiudeva di notte la navigazione, tenuta ad un tributo al principe. Riguardo alla zecca trentina basterà riportarsi a Giovanelli e Gazzoletti, egregi scrittori ed amici da noi compianti, che dimostrarono essere solo in quest’anno 1182 passato il diritto di coniar moneta dal Comune ai Vescovi, l’immagine dei quali appar su essa improntata per la prima volta sotto il vescovo principe Salomone.

Le città italiane, per assicurare la propria indipendenza ed aumentare in possanza, avevano in quell'evo adottato il sistema di obbligare i nobili del contado a prendere stanza in città e ad ascriversi fra i comunisti; il che avevano fatto anche i trentini, come ci viene dimostrato da alcuni documenti del secolo dodicesimo che accennano a nobili e ministeriali aventi casa e beni in Trento. L’imperatore vieta severamente ai Trentini il costringere alcuno ad inurbarsi, sia nobile o plebeo, ed il ricevere chiunque permutasse domicilio per esimersi da debito di sudditanza verso altrui; statuisce ancora che se alcuno fosse stato costretto ad abitare in città ed avesse prestato giuramento di fedeltà al Comune, sia prosciolto ed abbia libera facoltà di dipartisi. Ecco il Comune autorizzato a vincolare con giuramento la fede degli abitanti, che, prestatolo, erano tenuti alla osservanza delle leggi e degli ordinamenti comunali, eziandio onerosi ed obbligati a concorrere alla difesa dei comuni interessi. Il placito indi soggiunge; che se qualcuno di coloro che spontaneamente o forzatamente si portarono ad abitare in città, per muovere in questo modo più valida guerra ai loro avversari, per disturbare colle forze cittadine la pace della patria e per macchinare nocumento al vescovado o molestia all'impero, non uscisse dalla città e si trasportasse altrove e fosse scoperto, sia abbandonato insieme alle sue sostanze alla balìa del vescovo. Tale disposizione spiega manifestamente lo scopo del diploma. Avesse o non avesse la città, colle sue