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Le donazioni imperiali furono fatte con quei diritti ed obblighi coi quali le contee erano prima tenute a titolo beneficiario da duchi, marchesi o conti; non fu quindi trasmessa ai vescovi la sovranità indipendente che quelli non avevano, ma solo la ragione di governare questi paesi, quali luogotenenti imperiali e reali, osservando le leggi e le consuetudini già esistenti, rispettando e tutelando gli altrui diritti, amministrando la giustizia, diffendendo il paese da interne perturbazioni e da esterne oppressioni, e rascuotendo i pubblici redditi che servire dovevano a rimunerare il beneficiato, a provvedere alle esigenze del governo ed a promuovere l'utile pubblico. Fu in questi e nei secoli seguenti, che i beneficiati, divenuti grandi feudatari dell'impero eziandio ereditarii, approfittando della generale confusione dei diritti politici e della impotenza della autorità centrale, usurparono molte prerogative sovrane nei paesi da loro posseduti a titolo di feudo o di beneficio, non riconoscendo altra supremazia fuori di quella che si velava nel vano concetto della maestà imperiale, bene spesso da essi osteggiata e tradita.

Per tal modo anche i vescovi di Trento, al pari degli altri grandi vassalli, ridussero nelle loro mani buona parte dei diritti sovrani confermati dall'imperatore colla investitura delle regalie, in cambio delle quali a lui giuravano fedeltà e vassallaggio e servizio in tempo di guerra. Alla curia imperiale era riservata la decisione soltanto in quelle questioni che insorgevano o fra i grandi feudatari, o fra essi ed i loro soggetti, o sopra massime di diritto governativo concernenti i vescovi stessi. Il codice Vanghiano ed altre storiche fonti ci porgono varii esempi di tali laudi o decisioni.

I vescovi non eran quindi autocrati nel nostro paese; dovevano governare secondo le leggi e le consuetudini e prendere le deliberazioni col parere della loro curia, cui prendevano parte i Canonici della cattedrale, i nobili ed i ministeriali della contea, i consoli e rappresentanti delle più cospicue comunità e molti giudici legulei specialmente convocati.

Nei due secoli, di cui stiamo occupandoci, l'elezione del vescovo non si faceva ancora esclusivamente dal Capitolo della cattedrale, da Roma o dall’imperatore (restrizioni posteriormente introdotte) ma apparteneva al clero, ai nobili e ministeriali, nonchè al popolo; riservata la conferma o al Patriarca d'Aquileja, cui era soggetta la Chiesa di Trento nello spirituale, od al Pontefice romano. L’imperatore, denegando la investitura delle regalie, poteva paralizzare l’elezione. Di frequente