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le donne e i ragazzi tacevano per rispettare l’ansia della madre, ma anche per il terrore della tempesta che così improvvisa e lunga e furiosa non s’era mai conosciuta. I fulmini cadevano come razzi sugli scogli e qualcuno di questi si spaccava: delfini scuri simili a porci nuotavano fra il bianco della spuma e pareva volessero rifugiarsi in terra per non essere travolti dalla tempesta.
E anche di essi e di tutti i mostri marini la madre aveva terrore: Dio, Dio, a chi domandare aiuto? e non si accorgeva che lo domandava a Dio.
D’un tratto le parve di essere trasportata in un luogo lontano, nella chiesa dove era stato battezzato Bellia: come sullo sfondo di una musica d’organo un canto religioso di donne e di fanciulli s’alzava fra il rumore della tempesta, e ne raddolciva il furore. Erano gli ospiti riuniti nella stanza attigua che recitavano il rosario: Rosa aprì l’uscio, s’inginocchiò contro lo stipite e prese parte alla preghiera. Ma subito balzò su con spavento poichè la padrona era caduta per terra svenuta.