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la casa dei suoi padroni è chiusa come una prigione.
Rosa lo chiama dall’uscio di cucina, gli parla come ad un uomo, gli gitta da un piatto alcuni ossi che rimbalzano contro il selciato del cortile: ma anche lei è irrequieta, con gli occhi lucidi, e d’un tratto si slancia verso la legnaia con un urlo di rapina e afferra entro il pugno una lucciola volante; poi va ad aprire al padrone.
Il padrone entra a cavallo nel cortile; la sua figura tutta nera arriva fino alla luna che spunta sopra il muro e l’ombra sua e del cavallo oscurano la notte davanti a Bellia.
— Come va? — grida, mentre Rosa con una mano gli tiene la briglia e con l’altra stringe la lucciola.
Bellia ha voglia di rispondere: — Male, muoio, son già morto.
Le sue labbra si rifiutano di parlare; il suo silenzio però è più triste delle sue parole: e non lo scuote neppure il grido di Rosa che guarda dentro la bisaccia del padrone.
— Sa icu, sa icu!