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xxvi | prefazione |
suo Rinaido riesce una figura magra di Achille; e sì Goffredo di Agamennone, e Argante di Ettore, nè più libero si spedì allorchè volle rifare la sua opera nella Conquistata: perocchè dalle calcate orme non si tolse; anzi vie maggiormente fermovvi le piante: nè compiè la vendetta contro al suo signore; perchè la Gerusalemme liberata, non la conquistata, gli sopravvive. Ma egli è veramente sommo poeta quando da sè inventa e crea soggetti nuovi e sconosciuti all’antichità: qual è Solimano, e quel suo Tancredi, in cui egli sè stesso dipinse. Non parlo dello stile, chè molto in lungo andrebbe il mio ragionamento, giova solo ricordare che dai concetti troppo affinati del Tasso si generò quella falsa scuola del secento, onde avemmo biasimo e mala voce dagli stranieri: i quali pare essi medesimi dilettarsi ora di riprodurla. In tal modo da moderni rinnovarsi l’antico: e sì all’architettura del Palladio e di Michelangelo succedere il tritume gotico; non potendosi dall’uomo inventare nulla oltra le forze e’ confini del suo ingegno, né oltre l’esperimento lunghissimo che ne fecero le passate generazioni. Può egli adunque per le antiche vie andare innanzi e tornarsi, variando solo nelle apparenze: le quali a buono o reo fine riusciranno, secondo che buoni o rei saranno gli usi dé suoi tempi. E questo che noi diciamo dell’arte dello scrivere puossi parimente applicare ad ogni altra cosa che riguarda l’umano consorzio. Laonde, chiudendo questi brevi cenni (che pure dar possono materia a largo ragionamento, ove vogliasi di maggiori argomenti e d’esempli afforzarli), acciocché non paja aver io meditato un mio trattato per giunta al vostro (mentre che scrivo come gitta la penna), ripeterò solamente un’altra fiata quello che altrove già dissi, cioè i favellari tragger forma e colore da’ costumi e da’ governi: onde il vero ingenuo linguaggio italiano doversi cercare nel secolo che Italia reggevasi da sè, pria che di leggi e di modi fossesi fatta imitatrice d’altrui.
Ero per deporre la penna, quando mi è giunta l’inaspettata novella essere voi stato fatto accademico della Crusca. Di che quanto gaudio io prenda lascio a voi il considerare, che ben conoscete l’affezione che da più anni vi porto, e come sempre ho desiderato che in quel tribunale di nostra lingua sedessero uomini capaci di rettamente giudicarne, e di porgerne i primi esempio co’ loro scritti. Or sì che non potrassi più di voi dire quel che forse di alcun altro avrassi a ripetere— Praefulgebant Cassius atque Brutus eo ipso quod effigies eorum non visebantur.— Ma poichè vi correrà l’obbligo di mandare a’ vostri nuovi colleghi alcun fresco lavoro il quale vie maggiormente li confermi nella giusta opinione che hanno mostrato avere di voi, concedetemi ch’io qui diavene il subjetto: e questo è che dichiariate per-