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xxviii | prefazione |
dobbiate, rispondendomi, aggiugnere maggior forza ed efficacia alle mie parole. E voi certamente non vorrete, e non dovete, negarmi questo soccorso che vi chiedo: chè il neghereste non a me solo, ma alla gioventù ed alle lettere, le quali sono in troppo malvagio stato, e solo da noi, che non facciamo bottega delle lettere e delle scienze, aspettano e possono esser soccorsi. Laonde, certo, come io mi sono, che non ci ha mestieri di altri più acuti stimoli per ispronarvi a sì lodevole e santa opera; passo a parlarvi brevemente di questa mia nuova stampa del volgarizzamento di Sallustio, la quale mi porse occasione di scrivervi.
Questa scrittura dell’aureo trecento, dovendosi dare a leggere, come vi dissi che a me sembra, a quelli che attendono allo studio dell’eloquenza, ho divisato di farci molte e distese annotazioni, dove sono andato dichiarando tutte le più riposte proprietà di nostra lingua, le quali, sapute bene e con giudizio adoperare, aggiungono eleganza e gravità al dettato. Mi sono altresì fermato ad osservare le bellezze di alcuni luoghi, ne’ quali il traduttore par che gareggi con Sallustio di precisione di brevità e di forza, ed ho sovente riferite le parole del testo, mettendole a riscontro con quelle della versione, perchè i giovani ne potessero scorgere tutta l’arte ed i pregi. Nelle altre opere degli scrittori del buon secolo che infino ad ora ho ristampato, dovendo esse andar per le mani di quelli che incominciano a studiar la lingua, mutai le antiche uscite de’ verbi, rammodernai l’ortografia, e in piè delle facce del libro riferii le vecchie voci, alle quali altre ne sostituii nel testo meno squallide e rozze, ma non meno pure e significative. In questa, per contrario, quando mi sono abbattuto a simiglianti vocaboli, gli ho sol dichiarati, ed ho avvertito i lettori che quelli non sono ora da adoperare, o che in usarli si ha a procedere con somma cautela, e si vuol esser molto pratico dell’arte del dettare per saperli dirugginare ed allogare in modo nelle scritture che ivi non pajano sgarbatamente e per forza cacciati. E tenni questo modo, sì all’altro contrario, perocchè i giovani che studiar debbono in questo volgarizzamento, essendo già alquanto pratichi della favella, non si ha ad usar con esso loro le medesime cautele, necessarie a quelli che sono novizii o al tutto sori delle cose della lingua. Ma, se niente non mutammo nel testo, non ci siamo nondimeno fatto coscien-