molto studjo e fatica dimanda in chi vuol guarirsene, e di pazienza e di somma pratica e maestria ha mestieri quegli che si adopera a correggerlo. Conciossiachè ne’ lavori de’ suoi discepoli dee diligentemente andare osservando questi mancamenti, e dee lor venir praticamente mostrando come talvolta le stesse parole da essi usate, mutandole sol di luogo, altra forza o altra grazia acquistano; e come, dando altra collocazione e giacitura ai membri di un periodo, quello, da sciolto e cascante che era prima, diviene serrato e vigoroso. E sopra ogn’altra cosa deesi sforzare il maestro di far chiaramente intendere ai giovani la vera cagione, la quale fa che le clausole delle loro scritture sieno così scommesse, e dee far loro comprendere che questo procede da non aver eglino saputo svolgere ed ordinare i loro pensieri, e trovare il vero punto in che quelli tra loro si congiungono. Onde, quantunque si sieno essi ingegnati di legarli colle particelle congiuntive, queste son riescite vane ed inutilmente adoperate; che, quando i concetti non sono naturalmente congiunti, e l’uno all’altro con bell’ordine e con conveniente modo non succede, tutti i perocchè ed i conciossiachè non giugneranno mai ad ordinarli e legare. Anzi, quando l’ordine e la connessione in quelli non manca, si può e si dee pure talvolta tralasciar le congiunzioni, sì perchè, quando è chiaro il legamento tra i pensieri, si può tralasciare di esprimerlo con una particella, e sì perchè il tacerlo alcuna fiata cela alquanto l’arte, e dà forma più libera e snella allo stile. Il quale non debb’essere come irrigidito e quasi senza articoli e giunture, ma neppure sdrucito, sconnesso, e tutto cascante e sgominato; e chi pecca in questo ha a cercar rimedio al suo male nelle prose del Bembo e del Varchi, e nelle novelle del Boccaccio, che a’ giovani non è disdetto di leggere. Perocchè l’elocuzione di questo scrittore, essendo con maravigliosa arte e tutta come un musaico lavorata, e propriamente acconcia ad emendare il vizio dello slegamento e scommettitura dello stile. E, meglio che da’ mentovati autori, in questo si ha a prendere ammaestramento e norma dagli scrittori del secol di Augusto, ed in ispezialtà da Cicerone: le cui opere non pur sono un tesoro di antica sapienza, ma, essendo di diverse maniere e di svariatissimi argomenti, servir ci possono di esempio di tutte le diverse forme di dettare. Solo, e non teme-