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190 | il giugurtino |
ORAZIONE
DEL CONSOLE CAJO COTTA AL POPOLO
VOLGARIZZATA DALL’AB. GIOVANNI CASSINI
ARGOMENTO.
Mentre Metello e Pompeo guerreggiavano in Ispagna contro Perperna e Sertorio, fa grande carestia in Roma. Onde la plebe adirata trascorse in ingiurie e minacce contro tutti gli altri magistrati e gli stessi consoli. Il perchè C. Aurelio Colta, che in quell’anno 629 di Roma teneva il consolato con L. Ottavio, per calmar gli animi della plebe, e discolpar sè al medesimo tempo, recitò questa Orazione. La quale alcuni credettero che fosse quella stessa recitata da Cotta; ma noi avvisiamo che Sallustio prendendo i concetti da quell’oratore, gli avesse poi egli a suo modo ordinati e composti. Questo C. Aurelio Cotta è quegli che da Cicerone è introdotto a ragionare nel suo nobilissimo dialogo dell’Oratore.
Romani, molti pericoli, molte avversità io ebbi a patire iu città ed in oste, delle quali parte ne sostenni e parte da me discacciai coll’ajuto degli Iddii e colia virtù mia; ne’quali frangenti lutti mai non mi mancò nè il consiglio a provvedere, nè l’opera al fare. La prospera e l’avversa fortuna mutar mi faceano di stato, non d’animo. Ma, per contrario,in queste calamità insieme colla fortuna ogni altra cosa mi abbandonò. Senza che, la vecchiezza, per sè grave male, raddoppia in me la sollecitudine: a me misero, fatto già vecchio, non è dato neppure di sperare una onorata morte. Imperocchè, se io sono il vostro parricida, e se io,
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