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frammenti 177

ni, d’operare è mestieri, e a viva forza contendere ch’é non s’ingoi le vostre sostanze; non indugiare, nè ajuti apparecchiar con parole: quando pur non speriate ch’ei, per noja o vergogna di sua tirannide, sia a gran suo pericolo per lasciar quello che col delitto occupò. Se non che a tale è egli giunto, che niente glorioso non estima, s’é non è sicuro, e, dove il dominio ritenga, ha onesto tutto. Sicché quella pace, e quegli ozii liberi, che molti probi e da ben uomini antiponevano a’ faticosi onori, or più non sono. A questo tempo o servire o comandare è mestieri, o Romani ; o temere, o bene altrui far temere. Ma che altro aspettar dobbiamo? Quali delle umane cose ci ha, o delle divine, che corrotte non siano e contaminate? Il popolo romano, testé moderator delle genti, spogliato ora d’imperio, di diritti, di gloria, infiacchito e spregiato, non ha più da nutrirsi neppur degli alimenti che si dà agli schiavi. Gran parte de’ vostri confederati e della gente del Lazio, che pe’ molli ed egregi lor fatti ebbero da voi la romana cittadinanza, da un uomo solo di quella or sono privati ; e le paterne sedi della plebe innocente occuparon sol pochi de’ costui cagnotti, in premio de’ loro misfatti. Le leggi, i giudizii, l’erario, le provincie, i re, sono in mano di un solo; il libero potere in somma di dar vita o morte ai cittadini. Voi vedeste scannar vittime umane, ed i sepolcri bruttati di civil sangue. Resta altro dunque a chi è uomo, che il vendicar le ingiurie, o morir da valoroso? chè certamente una sola e medesima fine la natura assegnò a tutti gli uomini, ancora che fosser di ferro cinti ed armati; nè niuno, che


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