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il giugurtino 159

difendere il suo reame avea preso arme: perocché, siccome dicea, quella parte di Numidia, della quale avea scaccialo, e tolta a Giugurta1, per ragione di battaglia era falla sua; e che-quella da Mario fosse occupata e guasta non avea potuto sostenere: anche com’egli dinanzi, avendo a Roma mandato ambasciadori, era stalo cacciato da loro amistà. Ma lasciava stare le cose vecchie: e disse come, se per Mario Tosse conceduto, manderebbe ambasciadori al senato. Poi, venuto agio e copia di parlare, l’animo del Barbaro (a)2 fu rivolto da’suoi amici, li quali Giugurta per doni avea corrotti, quando seppe dell’ambasceria di Siila e di Manlio, ri temendo quello che s’apparecchiava (b)3.

CAPITOLO LXXIX.

Come Mario si partì con alquanta gente; e Bocco mandò ambasciadori, li quali pervengono a Siila.

Mario intanto, avendo sua oste ne’ luoghi da vernare disposta, con le coorti espedite e parte della cavalleria andò in luoghi di grandi boschi ad assediare la regale torre, nella quale Giugurta avea posti tutti li fuggiti per difesa. Allora anche da capo jjocco fu rivolto in bene, o pensando come gli era nelle due battaglie colto4, ovvero ammonito dagli altri suoi amici, li quali Giugurta non corrotti avea lasciati. Onde egli di tutti suoi amici stretti elesse cinque5, la fede de’quali era da lui conosciuta, e loro ingegno di grande valore. Costoro mandò per ambasciadori a Mario, e indi, se piacesse a Mario, dovessono andare a Roma; e di fare le cose, e ’n qualunque modo piacesse loro concordare di pace, concedè loro piena licenza e mandalo6. Eglino tostamente andarono alli luoghi vernarecci de’Romani: ma, nella via da’ladroni getuli soprappresi e spogliati, ispaurili e senza onore fuggirono a Siila, lo quale il consolo, andando espediiamenle al detto assedio, avea lasciato per pretore nella città d’Utica. Loro Siila non, com’eglino aveano meritato, li ricevette per vani uomini7; ma onorevolmente, e donando loro assai. Per la qualcosa li Barbari e la fama dell’avarizia de’ Romani esser falsa, e Siila8, per li doni, loro amico appensarono. Perocché allora lo donare da molti era

  1. della quale ec. Vedi alla pag. 6 la n. 6.
  2. (cioè di Bocco).
  3. (cioè pace di Boero e de’ Romani).
  4. come gli era. . . colto) Cogliere elegantemente si adopera in sentimento di avvenire, accadere, incontrare, come è da intendere in questo luogo. Così anche nel Morgan te si legge: Io dubito che’mal non ce ne colga.
  5. di tulli suoi amici stretti ec.) Stretto, non altrimenti che nel nostro dialetto, toscanamente si adopera per intrinseco, confidente, coinè in questo luogo. Veggasi il nostro Vocabolario domestico napoletano e toscano.
  6. mandato qui sta per ordine* commessione, che è il proprio significato di questa voce.
  7. loro Siila. . . li ricevette) Vedi alla pag. 127 la n. 6.
  8. e la fama dell’avarizia de*Romani esser falsa) La stampa avea: e la fama de’Romani e la loro avarizia esser falsa.l latino: et famam Romanorum ayaritiae falsam. « Il guasto è qui pur certo, e Io reputo all’amanuense, non potendosi giustamente, in passo sì chiaro, attribuire alla poca intelligenza che il volgarizzatore avesse del latino. Perciò emenderei: e la fama delPavarizia ec. » (Betti).