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prefazione ix

da celare a’ giovani, perchè li possano discernere, e guardarsene, non doveano meritargli il rimprovero di aver rotto gli articoli ed i nervi alla nostra lingua, che gli fu fatto da un valoroso scrittore de’ dì nostri. Anzi io porto opinione che di tante bellezze risplendono le sue Novelle, che chi si fa a studiarle quando e come si conviene, debbe trarne grande profitto. Onde voglio che mi concediate che di questo appresso io vi torni a parlare, ed ora vi proponga alcune altre avvertenze, che io vorrei di buon’ora si facessero a’ giovani nelle scuole. Dappoichè negli scrittori del trecento incontra non di rado di trovar vocaboli e modi di dire, che allora non pur si scrivevano, ma si usavano ancora parlando; e nondimeno, o per la rozzezza della lor forma, o per l’asprezza del loro suono, o perchè ne furono inventati altri dipoi più grati all’orecchio, o più significativi, vennero rigettati, o raramente usati dagli autori degli altri secoli. Il perchè conviene avvertirne sovente i giovani, affinchè, o per mostrarsi dotti delle più riposte voci e maniere della lingua, o per troppo superstizioso zelo d’imitar gli antichi, non abbiano ad ornar di queste false gemme le loro scritture. Inoltre ne’ libri del trecento, ed in quelli del cinquecento ancora, come a Voi ed a tutti i dotti è notissimo, talora non si vede usato l’apostrofo, e avanti alle parole che cominciano da im o da in si vede tolta non la vocale della parola che precede, ma di quella che siegue: ed ora, come a me pare, non è a fare nè nell’uno, nè nell’altro modo. Conciossiachè, se la scrittura dee rappresentar le parole come si profferiscono, non dicendosi oggi da’ Fiorentini, che in questo debbonci dar regola e norma, nè lo ’mperio, nè lo ’ngegno, nè la empietà, nè la amorosa visione, e simiglianti, noi non dobbiamo ora a questa guisa scrivere e profferir queste ed altre simili parole, ma apostrofando la parola che precede, e non quella che siegue. Nè vogliate credermi troppo minuto, nè diligente oltre il dovere in chiedere che tanto s’inculchino e ribadiscano queste cose, le quali, almeno in generale, sono state già discorse da altri, ed ancora da me nel mio trattatello Della maniera di studiare la lingua e la toscana eloquenza; chè il veder tutto giorno alcuni fare altrimente, mi è indizio che non sono state ancora abbastanza ripetute. E potrei farvene certissima fede mostrandovi due libri, uno venuto, sono ora due anni,