se le scritture del trecento son da tenere vere e limpidissime fonti di nostra lingua, poche solo tra quelle sono da eleggere ad esempio ancora per lo stile. Conciossiachè quei primi padri del nostro idioma erano, la più parte, o idioti affatto, o uomini di poche lettere, i quali scrivevano come parlavano, e però gli umili loro concetti sono espressi con parole significative e con frasi vivacissime; ma la loro elocuzione, fuori di questi, e della naturalezza e spontaneità, non ha altri pregi, e nelle scritture di quell’età si cercherebbe invano quel secreto filo, che con bell’ordine lega insieme tutte le clausole di un discorso. Ma nondimeno si vuol far comprendere a’ giovani, e son certo che a Voi non parrà altrimenti, che da quelli conviene sceverarne alcuni pochi, i quali per forza d’ingegno e per arte escon fuori della volgare schiera, e che questi sono il Cavalca, Zanobi da Strata nella versione de’ Morali di S. Gregorio, il Passavanti, D. Giovanni dalle Celle, il Pandolfini, e Frate Bartolommeo da San Concordio. Sicchè le costoro opere possono esser trascelte non pur come fonti di purezza e proprietà di vocaboli e di frasi, ma come esempio ancora di stile. Dappoichè il Cavalca, nelle Vite segnatamente de’ Santi Padri, se non procede sempre molto ordinato nell’elocuzione, ed erra talvolta in congiungere e legare insieme i periodi delle sue narrazioni, ha sempre un’agevolezza e soavità di dettato, che li trae ed alletta; le sue descrizioni sono maravigliose per la precisione, la chiarezza e l’evidenza; ed a quando a quando alza il suo stile, e gli va dando quella forma che propriamente conviene alle sacre Omelie ed a’ Sermoni del pergamo. Zanobi da Strata, avendo tradotto dal latino i Morali di S. Gregorio, non ha difetto di legamento di periodi e di clausole nella sua versione, anzi è sempre ordinato, agevole e piano; e però può esser tolto in certo modo ad esempio di stil semplice e didascalico. Il Passavanti, essendo uomo, secondo quei tempi, di molte lettere, ed avendo in animo di svolger la gioventù dalla lettura del Decamerone, voltò in toscano il suo libro dello Specchio di Vera Penitenza, che avea da prima scritto in latino, e pose molta cura in forbirne ed ornar lo stile. Il quale ei si lavorò sopra di quello del Boccaccio; ma, essendo uomo d’indole rigida ed austera, e di forte sentire, lasciò in parte quel largo ed elaborato giro del periodo del maggior nostro