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il giugurtino 73

pieno, il quale poi ebbe soprannome dalla sua virtude1 Affricano, fece molti e gran fatti di battaglie2 e di valenzie: per la qual cosa, avendo vinti i Cartaginesi e preso uno ch’avea nome Siface, ch’era in Affrica gran signore, il popolo di Roma tutte terre e ville, le quali il detto re per sua battaglia avea conquistate, gli diede per dono. Cosi l’amistade di Massinissa buona e onesta fu a noi: e finio lo imperio3 e la vita sua. Dopo lui Micipsa suo figliuolo solo tenne il reame, essendo morti per infermità Manastabale e Gulussa suoi fratelli. Il detto Micipsa ebbe due figliuoli, cioè Aderbale e Jempsale, e ritenne seco Giugurta figliuolo di Manastabale, il quale Massinissa suo avolo avea lasciato privato in tutto del reame, perchè era bastardo: lui tenne Micipsa a guisa degli suoi figliuoli. II quale, sì tosto che cominciò a crescere, essendo forte e prode, bello nella faccia, ma molto più valoroso d’ingegno, non si diede a ciò, che per lussuria nè per pigrizia guastasse sè medesimo, ma, siccome è usato in quelle contrade, si diede a ben cavalcare, lanciare a prova con gli altri suoi iguali, a correre; e, conciossiacosa ch’egli tutti avanzasse per gloria, nientemeno a tutti era caro. Anche più tempo menava in cacciare li leoni e altre fiere. Egli primo, ovvero in prima4, fedia: molto facea, e pochissimo di sè parlava.


CAPITOLO IV.

Come Micipsa mandò Giuguria a Numanzia.

Di queste cose Micipsa avvegnachè al cominciamento fosse suto lieto, credendo che la sua gran virtude fosse a grande onore del suo reame, imperlante, poichè egli ripensò e vide che Giugurta già era fatto grande, e li suoi figliuoli erano piccolini, e che Giugurta continuamente crescea in bene, forte nella mente commosso, molte cose rivolgea nel suo animo. Metteagli paura5, cioè, che la natura dell’uomo è desiderosa di signoria, e corrente6 a compiere suo desiderio; anche gli mtltea paura la sua età e quella de’ flgliuoli, perocch’egli era già vecchio, e i suoi figliuoli molto garzoni; e che7 da ciascuna parte era in Giugurta agio di

  1. poi ebbe soprannome dalla sua virtude) Soprannome è quel terzo nome che si dà a chicchessia, sia in bene sia in male, preso da qualche cosa notabile che è nella persona a cui si dà. È da avvertire che anticamente fu il soprannome scambiato col cognome, il che oggi non sarebbe più da fare.
  2. e gran fatti di battaglie) Per proprietà tutta sua la voce grande suol troncarsi in gran, non solo nel singolare, ma anche nel plurale, e nel femminile altresì; come il Bocc., n. 69: Gran cosa mi parrebbe che il risapessi giammai.
  3. e finio lo imperio) Finio sta per finì, e non sarebbe più oggi da adoperare, se non in poesia. Così per gentilezza di favellare i nostri antichi fuggirono ogni troncamento che per l’accento riuscisse aspro agli orecchi; onde fecero andoe, hae, pietade, prode; ma quelli che sopravvennero, amando più la brevità, non vollero in questo seguitarli, e fecero andò, ha, pietà, prò.
  4. Par che sia modo ellittico, da sottintendersi fila o simili. Il testo latino ha aut in primis.
  5. metteagli paura) Nota bel modo, metter paura, che vale far paura.
  6. corrente qui è lo stesso che corrivo; e l’uno e l'altro vale disposto, inclinato.
  7. e che) La stampa leggeva E così. Abbiamo creduto fosse o mala lettura del codice, o di menanti. Il testo lat. ha praeterea.