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IL GIUGURTINO
DI
C. CRISPO SALLUSTIO
CAPITOLO I.
A torto si lamentano gli uomini della loro natura, dicendo che è fievole1 e di brieve tempo, e si regge per ventura più che per senno e virtù: chè, ripensando tu contra ciò2, troverai bene che non è niuna cosa più gentile nè più bastevole3 che sia la natura umana, e che maggiormente gli manca4 lo senno e la bontà degli uomini che non manca potenzia nè tempo. E il reggitore e il signore della vita è il nostro animo, il quale, quando si studia e briga ad onore per via di virtù, ha assai di valore, di potenzia e di fama, e non ha bisogno di ventura: la quale valenzia nè sapienzia o altre buone arti non puote dare nè tôrre a niuno uomo. Ma, se l’animo è preso da sozzi e perversi desiderii, e a pigrizia e a corporali diletti sottomesso, avendo un poco usata sua malvagia voglia, poichè, per sua miseria5, la forza, il tempo e l’ingegno saranno trascorsi, incolpasi ed accusasi la debolezza della natura; e la sua colpa ciascuno operatore trasmuta e appone ad altri fatti6. Ma, se gli uomini
- ↑ fievole vale debole, di poca forza.
- ↑ chè ripensando tu contra ciò) Ripensare nel suo proprio significato vale pensar di nuovo; e, perchè il considerare non è altro che il pensar su di una cosa più volte, di qui ripensare si prende anche nel sentimento di considerare, come è qui adoperato.
- ↑ non è niuna cosa più gentile ne più bastevole) Con queste parole il nostro autore traduce il latino neque majus aliud neque praestabilius invenias. — Gentile, come sopra si è notato, anche qui vale nobile; e bastevole qui sta in sentimento di egregio, eccellente, prestante, o forse anche di durevole.
- ↑ gli manca) Anticamente usavasi gli sì per il maschile e sì per il feminile; oggi, per altro, al feminile dicesi le.
- ↑ miseria qui sta per ignavia: v. p. 71, n. 6.
- ↑ trasmuta e appone ad altri fatti) Il testo latino legge: suam quique culpam auctores ad negotia transferunt: e trasmutare, come notò il p. Cesari nel suo Vocabolario, qui sta per rivolger colpa o simile addosso ad altrui. Apporre, oltre al suo proprio significato di por sopra, aggiungere, si prende anche, siccome dice il Varchi, per dire che uno abbia detto o fatto una cosa la quale egli non abbia nè fatta nè detta; e così si vuole qui intendere.