Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
il catilinario | 61 |
CAPITOLO XLI.
Onde1 li Romani furono anticamente vincitori: delle lodi di Catone e di Cesare.
Ora (b)2, così leggendo io molte cose e molte udendo, le quali il popolo di Roma in città, in oste, in mare e in terra fece molto famose e chiare, piacquemi di considerare per qual cosa i Romani avessono fatto tanto di così grandi opere3. Io sapea che spesse fiate i Romani con poca gente aveano combattuto contro grandi legioni di loro nimici; avea saputo che con poche ricchezze aveano mantenuta guerra con ricchissimi re; anche che spessamente aveano virtuosamente sostenuto la contraria ventura; sapea che per bel parlare li Greci avanzavano li Romani, e per battaglia i Franceschi. Onde io, molte cose leggendo e molte pensando, sì era certo che tutte queste cose avea fatto la gran virtù d’animo d’alquanti pochi cittadini; e perciò divenne4 che l’altrui ricchezze fossono vinte dalla lor povertà, e l’altrui multitudine, dalla loro pochezza. Ma, poichè la città per lussuria e per pigrizia fu corrotta, anche daccapo5 la repubblica era sottomessa alli vizii de’ signori e degli uficiali; e, siccome privata de’ padri, molti temporali non fu bene in Roma niuno in virtude grande. Ma nel mio temporale furono di gran virtù due uomini di diversi costumi, cioè M. Catone e G. Cesare: de’ quali, perocchè la materia il dà6, non me ne vo’ passare7, ch’io non dica la natura e i costumi dell’uno e dell’altro, secondo che per ingegno manifestare potrò. Questi due gentilezza, tempo8, bel parlare ebbono quasi egualmente, e anche grandezza d’animo e gloriosa fama; ma per altro modo l’uno e l’altro9. Cesare fu
- ↑ onde qui vale in che modo.
- ↑ (dice Sallustio).
- ↑ avessono fatto tanto di così grandi opere, cioè tante sì grandi opere. Questo modo è tolto di peso dal latino e dal greco ancora; ma non si vuole imitar da tutti, chè, per bene adoperarlo, è mestieri di molta pratica della lingua e dell’arte dello scrivere.
- ↑ e perciò divenne ec. ) Divenire, che propriamente è lo stesso che diventare, fu anche adoperato, come in questo luogo, per avvenire, accadere: nel qual sentimento non consigliamo ai giovani di usarlo.
- ↑ daccapo, che scrivasi anche da capo, usato avverbialmente, è lo stesso che di nuovo, un’altra volta. Ma qui conviene che diciamo che il traduttore non ha dato nel segno, o che il codice che egli ebbe a mano era difettuoso: perocchè il testo qui legge: rursus respublica magnitudine sua imperatorum atque magistratuum vitia sostentatabat.
- ↑ poichè la materia il dà) Così traduce il latino quoniam res obtulerat sicchè, come si vede chiaro, il verbo dare è qui adoperato in sentimento di offerire, porgere innanzi; ed in questo senso non è registrato nel Vocabolario della Crusca; e vi si dovrebbe aggiungere, potendosi, come a noi pare, pur oggi adoperare.
- ↑ non me ne vo’ passare ec. ) Passare una cosa, passarsi di una cosa, o passarsela, vale non far parola di una cosa, non ne far motto; e dicesi anche passarsi tacitamente, o simili, di una cosa, e vale lo stesso.
- ↑ Vedi la nota 7 e 8 a pag. 12.
- ↑ ma per altro modo l’uno e l’altro) Altro vale diverso, differente; ma vogliamo che i giovani pongano ben mente alla maniera come è stato qui adoperato, e si guardino di così fare. Perocchè l’adjettivo e pronome altro, comeche importi sempre diversità, pur tuttavia indica sempre diversità, differenza da quelle cose di che si parla o s’intende, e conviene che riferisca persona o cosa d’un medesimo genere con quella della quale è diversa. Così non si direb-