tulo e degli altri giudicherete come si converrà, che voi giudicate insieme con loro dell’oste di Catilina e di tutti i suoi congiurati: perocchè quanta voi più attesamente farete queste cose, tanto ne sarà più debole il loro animo; e s’elli vedranno che voi in ciò solo un poco rallentiate, sì tosto saranno eglino tutti più feroci. Non crediate voi che li nostri maggiori per forza d’arme facessono la repubblica di piccola grande, chè, se così fosse, noi l’avremmo molto più, e via maggiore, perciocchè d’amici e di cittadini e anche d’arme e di cavalli maggiore abbondanza avemo noi che non ebbono eglino. Ma altre cose furono quelle che grande la feciono, delle quali noi non avemo niente; cioè: in casa studiare a bene; di fuori giustamente signoreggiare; e l’animo negli consigli aver libero, non sottomesso per peccato nè per altra voglia. In luogo di queste cose avemo noi lussuria e avarizia; nel comune la povertà, in privato la ricchezza; lodiamo la pecunia, seguitiamo la pigrizia; tra’ buoni e rei non c’è differenza; tutti onori e tutti meriti di virtude si tengono e si posseggono solo dall’ambizione. E ciò non è maraviglia, da che ciascuno di voi singularmente spartito1 prende suo consiglio. E, poichè a casa vostra avete servito a vostre volontadi, qui servite alla pecunia, o a grazia di vostri amici; e però addiviene che si fa impeto e assalimento contra l’abbandonata repubblica. Ma lascio questo stare. Hanno ora congiurato li nobilissimi cittadini d’incendere nostra terra; hanno indotta contra di noi la gente francesca, molestissima al nome romano; e il duca de’ nemici coll’oste c’è sopraccapo2: e voi indugiate, e ancora sete in dubbio de’ nimici, dentro della città compresi, che sia da fare. Io giudico che voi abbiate misericordia di loro: chè questi malfattori sono uomini giovani, e peccarono per loro grande desiderio d’onore. Lasciategli andar via, eziandio armati; ma guardatevi che questa mansuetudine e questa misericordia non vi torni in miseria. Il liberargli è cosa dura, ma voi non la temete: certo sì fate, e molto3; ma la pigrizia e la mollezza dell’animo vi fa indugiare, aspettando l’uno l’altro: quasi confidandovi degli Dii immortali, i quali sempre ne’ grandi pericoli la nostra repubblica hanno conservata. Non per voti nè per orazione di femmine vengono tali ajutorii4: vegghiando, operando, e ben consigliando, tutte cose vengono prospere: là dove ti darai a miseria di cuore e pigrizia di corpo, per niente pregherai.
- ↑ singularmente spartito) Spartito, participio del verbo spartire, qui vale separato, divilo, disgiunto da altri, che anche si dice partito, dal verbo partire.
- ↑ e il duca de’ nimici coll’oste c’è sopraccapo) Duca qui sta per capitano; ma oggi questa voce è rimasa solo a significar titolo di principato. — Sopraccapo o sopra capo si adopera avverbialmente co’ verbi essere, stare, ec, e vale essere, stare ec. addosso, essere vicinissimo, alle spalle, esser nel punto di assalire.
- ↑ certo sì fate, e molto, cioè coi così temete questa cosa, come è da temere, e molto la temete. Il verbo fare qui è adoperato in sentimento di temere; e questo verbo fare per proprietà di nostra lingua si adopera in iscambio di quasi tutti gli altri verbi, pigliando ii significato del verbo che lo precede. E però nel Boccaccio leggiamo, Nov. 33: Niuna cosa è al mondo, che a lei dispiaccia come fai tu ( cioè come dispiaci tu). E nella Vita di S. Giov. Battista: Non è da tenere ancora altro modo che quel che tu fai (cioè tieni).
- ↑ ajutorio, voce antica, per ajuto.