Pagina:Il Catilinario ed il Giugurtino.djvu/109

58 il catilinario

ca: se queste cose, qualunque sieno, le quali così abbracciate e strignete, volete e desiderate ritenere, e se a vostra volentà disiderate riposo; isvegliatevi alcun tempo, e prendete cura della repubblica. Chi ora non si ragiona delli tributi del popolo romano, nè dell’ingiurie de’ vostri compagni; la libertà e la vita nostra è in dubbio. Ispessamente. Padri conscritti, io ho fatte molte parole nel senato; spessamente della lussuria e della avarizia de’ nostri cittadini io ho fatto lamenti; per la qual ragione molti mi son contrarii: chè io, il quale a me e al mio animo non concedei giammai grazia nè perdorianza di niuno peccato, non di leggieri perdonava gli altrui. Le quali cose avvegnachè voi poco curaste, ma allora la repubblica era ferma1, e per sue ricchezze e potenzia sosteneasi la negligenzia ch’era. Ora non si parla egli se noi meniamo male o bene nostra vita, nè quanto o quale sia lo imperio romano; ma si parla di queste cose ch’avemo, quali o quante sieno, se elle debbeno essere tutte con noi, o se tutte insieme debbano essere de’ nostri nemici. Qui mi nomina alcuno uomo mansuetudine o misericordia. Già certamente avemo perduto lo verace nominare delle cose: chè donare gli beni altrui chiamiamo larghezza, e ardire di malvage cose fortezza: e però la repubblica è in sullo stremo e in sulla fine venuta. Sieno baldamente2 li Romani, da che questo è l’usato, liberali e larghi di quello che tolgono a’ loro nimici3; sieno misericordiosi contra coloro che furano4 l’avere del comune: ma non donino il nostro sangue medesimo, e, perdonando a pochi malvagi, tutti li buoni mettano a pericolo. Bene e ornatamente G. Cesare in suo dire parlò della vita e della morte, secondo ch’io credo reputando egli non fosse vero quello che dello inferno si dice: che ad altra via dopo la morte vadano gli rei che gli buoni5, e ch’egli abbiano luoghi villani, sozzi e molto spaventevoli. Disse e giudicò che lor beni fossono pubblicati6, e eglino fossono tenuti per le castella in prigione e in guardia: quasi temendo che, se forse fossono in Roma, non fossono tolti per forza, e liberati, o dalla gente de’ congiurati, o da altra moltitudine che producessono: siccome se gli rei e gli malvagi uomini solamente sieno in Roma e non per tutta Italia; o come l’ardimento de’ rei non abbia maggior potenzia la dove è meno vigore da contrastare loro. Onde vano è certamente questo cotale consiglio, se egli teme di loro; e, se in cotanta dottanza7 e dubbio di tutti solo egli non teme, per tanto bisogna a me e a voi di più temere. Per la qual cosa abbiate per certo che, quando voi di P. Len-

  1. ma allora la repubblica era ferma) La particella ma è qui adoperata per nondimeno, pure; ma oggi non si vorrebbero in ciò imitare gli antichi che l’usarono.
  2. baldamente è voce non molto adoperata, tuttochè l’adjettivo baldo sia tuttora in uso: e vale prontamente, con sicurtà d’animo; alquanto meno che baldanzosamente.
  3. Il testo lat. ha: ex sociorum fortunis.
  4. furare è lo stesso che rubare, ma oggi si adopererebbe meglio in poesia che in prosa.
  5. ad altra via... vadano gli rei che gli buoni: cioè ad altra via vadano gli rei che non vanno gli buoni. Non s’imiti però questo costrutto da’ giovani.
  6. Vedi la nota 2 alla pag. prec.
  7. dottanza è voce vieta ed antica; ed oggi in iscambio hassi a dire timore.