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96 | Matteo Bandello |
XLI.
La confessione alla Virbia — dei sonetti precedenti — è finita. Ora il poeta si rivolge di bel nuovo alla sua Donna, direttamente; ne invoca non l’amore, ma la commiserazione.
Vorrei, mia Donna, com’i vostri rai
Passan per gli occhi miei di dentro al core;
Ivi accendendo tant’estremo ardore,
4Ch’impossibil sarà che scemi mai;
Così nel vostro cor più freddi assai
Che ghiaccio alpino, e privo dentro e fore
Di que’ dolci pensier, figli d’Amore,
8Fesser pietate i miei dolenti guai:
Che bramar di vedervi fuoco in petto,
È bramar secco il mar, calda la neve,
11E dar le stelle il chiar splendor al sole.
Sol chieggo, che da Voi si dia ricetto
A tanto di pietà, ch’una sol breve
14Voce mi dica, che di me vi duole.
V. 8. Fesser pietate, facessero, cioè vi inducessero a pietà.
V. 10. Secco, asciutto il mar ecc. La consueta enumerazione — cfr. son. XXXVII, vv. 9-11 — di cose impossibili.
V. 13. A tanto, a quel tanto che basti.
V. 14. Una sol breve voce, una sola vostra parola, un’esclamazione vostra.
XLII.
Paragona il felice amore di due colombi col proprio, infelice.
Questo colombo, e me di par ardore
Arde fervente Amor in crudo fuoco;
Egli sen va cercando in ogni loco