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Il Canzoniere 93

XXXVIII.

E a Virbia narra del suo amore sfortunato per la Mencia disdegnosa.

Qual sia ’l mio stato, non cercate udire,
     Virbia gentil, che tropp’è acerbo e crudo,
     E tal, ch’a un petto di pietate ignudo
     4Nascer pietà farìa del mio martire.
Amo chi me non ama, e ’l mio languire
     Disprezza, e quanta pena in petto chiudo;
     E ’l fuoco ov’io sì spesso tremo e sudo,
     8Punto non cura, nè mi vuol gradire.
Ride ella sempre, e sa lo strazio mio.
     Ma così poco del mio mal le cale,
     11Che finge non veder ciò ch’ella vede.
In questo stato sono, Virbia, e male
     Posso salvarmi. Ahi! duro caso e rio,
     14Ch’indi ritrar non so, nè voglio il piede.


V. 2. Virbia gentil, che prende cioè cortese interesse ai casi suoi dolenti e che lo interroga, come comprova il «non cercate udire». Costei è pur nominata al C. VI dei Canti XI nella strofe: «Non ti sovvien che meco già vedesti | Di questi Amor gli storti e mal sentieri, | E ciò che già per Virbia ne scrivesti | Allor che sovra il Lambro assiso t’eri? | Non sai che chiaramente allor dicesti, | Con ragion vive et argomenti veri | Che chi seguiva quest’Amor fallace | Seguiva il senso privo d’ogni pace?».

V. 5. Amo ecc. È la confessione piena ed esplicita della sua condizione d’amante disamato.

V. 14. Ch’indi, che di qui nè posso, nè voglio ritirarmi.