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92 | Matteo Bandello |
XXXVII.
Gruppo di sonetti — XXXVII-XL — per la Virbia. Ad essa — a differenza della Mencia, di cui si professa adoratore — tributa puri omaggi mostrandosi estimatore devoto delle di lei doti, della di lei fama di gentildonna preclara, forse di letterata. La elegge a confidente delle sue pene amorose.
La chiara fama, che volando grida
Le vostre rare doti, e ’l gran valore,
Esser del vero trovo assai minore:
4Tant’alta è la virtù, che ’n Voi s’annida.
Lingua mortal, ancorchè dotta, e fida
A par del vero non può farvi onore,
Virbia, che tanto il ciel vi dà favore,
8Che di bellezza, e grazia il mondo sfida.
A che dunque tentar di porre il mare
Chiuso in un vaso, e pienamente dire
11Le sparse arene, e i lumi d’ogni sfera?
Chi vostre lodi, Donna, può scoprire
Veracemente ognor potrà contare
14Quante erbe, e quanti fior ha primaver
V. 1. È il dantesco: «La fama che la vostra casa onora | Grida i signori...», Purg., VIII, 124-5, in senso di celebra, pubblica a gran voce.
V. 2. Valore, lat. per virtù, di cui al v. 4.
V. 5. Lingua mortal e cioè parola d’uomo anche se colto e devoto. E Petrarca: Lingua mortal, ecc., Canz., V, v. 14.
V. 9. È la stessa imagine espressa con analoghe parole dal Petrarca: «...’n picciol vetro chiuder tutte l’acque», Canzoniere, CXXVII, v. 86.
V. 10. Dire, noverare, contare le sabbie sparse, e le luci d’oggi sfera celeste, o chiudere il mare in un vaso, sarebbero dunque opere vane.