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Il Canzoniere | 91 |
XXXVI.
Lontano dalla Mencia, il poeta cavalca mesto per luoghi ermi, in sull’aurora, dopo consumata una notte in pianti.
Quando l’Aurora coi bei crini d’oro
Adorna il ciel di rose e di viole,
E for del Gange i suoi corsier il Sole,
Sferzar comincia al vago lor lavoro; 4
I’ che la notte mi consumo e ploro
L’aspre mie pene sì penaci, e sole,
Rinforzo il pianto allor; così mi duole
Lontano andar dal mio vital ristoro. 8
I’ vado errando, com’Amor mi guida,
Ed agli altri m’involo, ond’in luoghi ermi
Sovente il mio caval perduto arriva. 11
Lasso! mai fia, che senza pianto o strida
Mi trovi il sole, e questi piedi fermi
Nanzi a Colei, che sì lontan m’avviva?14
V. 1. Efficace se pur non nuova personificazione dell’Aurora aureocrinita; cfr. Petrarca: «Quand’io veggio dal ciel scender l’Aurora | Co’ la fronte di rose e co’ crin d’oro», Canz., CCXCI, nn. 1-2.
V. 3. Il Sole, Febo, uscendo dal Gange, provenendo cioè dall’oriente, guida i suoi corsieri al loro viaggio quotidiano. C’è una reminiscenza del dantesco: «Uscia di Gange fuor con le bilance», Purg., II, V. 5.
V. 6. Pene penaci, allitterazione; pene tormentose.
V. 7. Rinforzo, raddoppio.
V. 8. Lontano dalla Mencia che gli è vital ristoro.
V. 9. Perduto, errante a caso fuor delle strade battute.
V. 14. Nanzi, dinnanzi a colei che pur sì da lontano mi dà la vita.