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Introduzione | 37 |
procurare del suo Canzoniere un’edizione corretta degli svarioni tipografici, che deturpavano quella, ora esaurita, del Costa, corredata di notizie utili alla intelligenza del testo e alla vita dell’autore1. Ci confortarono in questa persuasione le parole di Erasmo Pèrcopo, editore di taluni componimenti bandelliani qui riposti in luce, il quale nel 1908 augurava per l’appunto che qualcuno raccogliesse ed esaminasse «il Canzoniere bandelliano non ancora fatto oggetto di studio e appena nominato nell’ultima e più ampia storia della nostra letteratura cinquecentesca». E rincalzava la sua osservazione con argomenti che a noi paiono conclusivi per la presente indagine, — prima indagine di qualche ampiezza, condotta sull’attività poetica, in genere, del Bandello, in ispecie su quella del Canzoniere. Ciò «non già — egli scriveva — perchè il Bandello lirico debba ritenersi quale lo ritennero i contemporanei un Petrarca redivivo, giacchè in quel genere artisticamente val poco, non ha caratteristica propria, e non è che uno dei più fidi seguaci del cigno di Valchiusa; ma perchè non è bene che un’opera letteraria di uno dei nostri maggiori scrittori del Cinquecento rimanga più oltre sepolta ed obliata, fra tante esumazioni di scrittorelli insignificanti».
- ↑ Per le edizioni, vecchie e nuove, del Bandello, e per i saggi critici e per la sua fortuna in Italia e all’estero, vedasi la Bibliografia premessa (1911) a Picco, Quaranta novelle cit., pp. 25-35.