Mugghiar più strane belve,
Chè nè al fuggir nè al star l’animo valme.
Quando fie mai, fortuna,
Che veggia, allor che, il sole 50Calando, l’aere imbruna,
Le pecorelle mie la sete trarsi
Su queste rive, e con l’usate salme
Tornarsi a casa; e in queste piagge sole
S’odon le mie parole? 55Quando fie mai che ’l bel volto di tauro
O re de’ fiumi, le tue amate ninfe,
Ti spargano di latte e chiare linfe,
Coronando di fior le corna d’auro?
E i tuoi pastor di mirto e verde lauro 60Adornino le mandre, e a gli alti abeti
Vaghi sospendan le zampogne e gli archi?
E di teneri agnelli sacrifizio
Ti facciano, con preghi e voce umile,
Ch’a l’estivo solstizio 65Nel tuo gonfio ondeggiar gli argini varchi
Perchè a l’usato ovile,
Mentre ha men forza il sole,
Finchè ritorni aprile,
Possano starsi, e poi tornarsi lieti 70A le campagne aperte e ameni parchi?
O re de’ fiumi, in queste piagge sole
Odi le mie parole. —
Così diceva; e tra verdi arboscelli
Giacèa, fra l’erbe la mia Mencia all’ombra, 75Qual chi di dolce sonno l’aura ingombra
Col mormorar de’ limpidi ruscelli.
Sparsi le aveva Zefiro i capelli
Per quel candido collo e per la fronte;
E tremar si vedean soavemente 80Le marmoree mammelle entro al bel velo,
D’arder d’amor côr freddi, aspri e selvaggi:
Quando, svegliata, al cielo
Volse i begli occhi con splendor sì ardente,
Che dier lume i bei raggi 85U’ non passava il sole