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326 Matteo Bandéllo

colorite rose rassembrano, rosata bocca che sotto dui finissimi rubini perle orientali nasconde, candida rotonda gola, mento bellissimo, eburnee spalle, rilevato e marmoreo petto, due mammelle piene di miele ibleo, belle braccia, bianchissime e quanto convien lunghe e sottili mani, la persona tutta leggiadra e snella, piccioli piedi che a pena la terra toccano... divinissimo viso» (pp. 77-78).

V. 4. Cagion a molti. Ed ella era «tanto superba e sì schifevole che ella non averia degnato di far buon viso al re, e da tutti era chiamata per sovranome “la sdegnosa„» (p. 75).

V. 6. Un cavaliero. Giovanni Ventimiglia «cavaliero pronto di mano e prudente conseglio» (p. 74). Egli «nei lacci d’amore per lei irretito, deliberò usar tutti quei mezzi che per amante alcuno fossero possibili ad usare, a ciò che l’amor de la donna ne acquistasse» (p. 75). Lunga enumerazione di tali mezzi. Senonchè «non seppe mai tanto fare, nè tanto affaticarsi che ella mai gli mostrasse buon viso, del che egli ne viveva molto di mala voglia..... Già più di dui anni in queste pene era l’infelice amante dimorato... [indi]... perseverò circa dui anni come prima faceva, servendola ed onorandola, nè mai ebbe da lei una sola rivolta d’occhi» (pp. 76-79).

V. 9. Egli sprezzato, «Il Ventimiglia così da la donna sprezzato...» (p. 79).

Vv. 9-10. Altrove il suo pensiero rivolse, «E perchè come dice il divin poeta messer Francesco Petrarca che a questa malizia d’amore altro rimedio non è che da l’uno sciogliersi e a l’altro nodo legarsi, come d’asse si trae chiodo con chiodo, ancor che de l’amor de la signora Lionora fosse libero, nondimeno se qualche scintilla di fuoco era sotto le vecchie ceneri sepellita, egli del tutto l’estinse, perciò che a nuove fiamme il petto aperse, cominciando a riscaldarsi de l’amor d’una giovane molto bella, la quale, conosciuto il vero amor del cavaliero, non si dimostrò punto schiva, di modo che egli acquistò la grazia di lei ed ella di lui» (pp. 85-86).

Vv. 10-11. Quella, ritrosa e dura a lui piegossi alora. Lionora, che era per l’appunto «dura, ritrosa e superba» (p.77). In seguito «ella, sempre stata rubella d’amore, sentì in un punto così accendersi ed infiammarsi de l’amor del cavaliero ecc.» (p. 91) che fece di tutto per richiamarla a sè.

V. 12. Piegar non potendo il cavaliero, e «veggendo che egli non era disposto a far cosa che ella volesse, venne in tanta malinconia che di sdegno e di cordoglio infermò» (p. 96).

V. 13. Morir elesse e uscì di vita fuora, infatti «deliberò di non restar più in vita, parendole assai più leggero passar il terribil passo de la morte che sopportar la pena che l’affliggeva. Onde, perdutone il sonno e il cibo andava d’ora in ora man-