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Il Canzoniere 321

     Che poi, pentito ch’io gli fossi data,
     4Femmi di grave error parer nocente.
 Io, ch’era verginella ed innocente,
     Come mi vidi a torto sì macchiata,
     Prima volli morir ch’esser mostrata
     8A dito, ohimè, per putta da la gente.
Nè fu bisogno ferro al mio morire;
     Che ’l dolor, fiero più che ferro, valse
     11Quando contra ragion m’udii schernire.
Morendo, Iddio pregai che l’opre false
     Al fin facesse al mondo discoprire,
     14Poi ch’ai mio sposo di mia fe’ non calse.


Vv. 1-2. Maritata, promessa sposa; crudo, crudele cavaliere, tale in verità solo in apparenza perchè ingannato da losche manovre altrui; indegnamente, per la disparità sociale. Era il fidanzato il «barone Timbreo di Cardona, uno dei favoriti appo il re Piero di Ragona»; la fidanzata, Fenicia, figlia di messer Lionato, uomo in Messina di «legnaggio antichissimo e nobile di molta riputazione, ma le sue ricchezze erano di privato gentiluomo». Dopo il repudio, Fenicia così si lagna: «...per le poche ricchezze dico che io non era degna di tanto cavaliere, dico altresì che indegnissimamente sono rifiutata, ecc.» (p. 293).

V. 3. Pentito, infatti, benchè così non fosse e credesse Timbreo Fenicia disonorata, «messer Lionato restò con questa opinione, che il Signor Timbreo si fosse pentito di far il parentado parendogli che forse troppo si abbassasse e tralignasse dai suoi maggiori» (p. 292).

V. 4. Nocente. Intendi: fece apparire me nocente cioè nociva a lui, quindi colpevole di grave errore. È da escludersi il senso di nocente per innocente, per aferesi, dato il v. 5.

Vv. 5-8. Verginella, sì macchiata, mostrata a dito. Nel lamento succitato Fenicia dice anche: «io so che appo tutti i Messinesi, io acquisto biasimo eterno di quel peccato che mai, non dirò feci, ma certo di far non ci pensai già mai. Tuttavia io come putta sarò sempre mostrata a dito» (p. 293). — Prima volli, nel senso di volli piuttosto, preferii.

Vv. 9-11. Nè fu bisogno ferro al mio morire, bastò il dolore. La stessa idea è già in queste Rime estravaganti al son. XV, v. 12-14. Nella novella la fine è cosi narrata: «Detto questo [il lamento di Fenicia sopra citato] fu tanta la grandezza del dolore che in-

21. — Classici Italiani. N. 12.