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Il Canzoniere 283

sua e che rende questa età gloriosa; è vantata anch’ella, come la fanciulla mantovana per gli occhi belli dove ha sua dimora Amore, figlio di Venere; e anche qui, per sua mercè, il poeta gusta, adorandola, gioia eterna ed infinita.
        Ma — si avverta — la psicologia è diversa. La somiglianza degli attributi rivolti alla donna amata in riva al Mincio, e quelli diretti a Lucrezia Gonzaga sono tali unicamente per povertà d’inspirazione e d’arte del poeta, chiuso, irrigidito quasi, nelle formule tradizionali e viete della poetica del petrarchismo cinquecentesco. Basti rilevare che sempre la Mencia è ritrosa, perfino beffarda verso il Bandello, e sempre disdegna il di lui amore. Lucrezia accetta invece il platonico omaggio amoroso; e il maestro e l’alunna godono di questi loro mutui e onesti sentimenti d’affetto. Per essi saranno «Egli beato, Ella felice». Lucrezia non solo non irride come fa ognora la Mencia al suo seguace adoratore, ma ella è colei che «Pace porge[te] a chi [l’] adora e segue». Tutta la Canzone è pervasa dal rammarico del poeta di non saper dire di lei quanto vorrebbe: tanto, che in sul finire egli fa proponimento di dedicarle altri canti particolari.
        Così il Canzoniere prelude e si riallaccia direttamente ai successivi Canti XI in lode appunto di Lucrezia, op. cit., editi poi in Francia nel 1545.


Amor più volte mostro
     M’ha nei begli occhi della Donna mia,
     Come per lor trionfa e spiega l’ali;
     E dicemi: i’ ti mostro,
     5Amante, cosa, ch’impossibil fia,
     Che mai si veggia più fra voi mortali.
     Che quante sono, o fûr mai donne uguali
     Non vedi a questa, ond’io men vado altiero,
     Che senza il suo favor nulla sarei.
     10Poi scopre agli occhi miei
     Cose, che dir altrui poter non spero.
     Ma tant’è quel desìo,
     Ch’accende questo dolce lusinghiero
     Di scoprir ciò, ch’ognor in lei vegg’io,
     15Che di parlarne alquanto, almen desìo.
Ma come posso, Amore,