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268 Matteo Bandello

     Nè tra le pietre il verde e fin smeraldo
     Nè lo bel diaspro il caldo
     Sangue fermò, che dalle piaghe acerbe
     Correa qual rio, che larga vena serbe.
85Ind’io mirando que’ begli occhi, quelli
     Occhi tuoi dolci ombrar eterna notte,
     E ’l dolce ragionar finir in tutto,
     Più di te morta, i già leggiadri, e belli
     Lumi bagnai con lagrime interrotte
     90Da fier singhiozzi e sospiroso lutto.
     E ’l viso bel distrutto,
     E la soave bocca in ogni lato
     Baciai più volte, stando intenta allora
     Ch’uscisse l’alma fora
     95Acciò cogliessi almen lo spirto amato
     Sulle tue labbra con l’ultimo fiato.
Dunque, figliuol, l’acerbo mio cordoglio,
     S’hai teco quell’amor, che ’n terra avevi
     Mira dal ciel, e vieni a consolarmi.
     100Tu sai, che giustamente pur mi doglio,
     Da poi che fur i giorni tuoi sì brevi,
     Ch’assai più tempo lieta dovean farmi.
     Ahimè! perchè donarmi
     Non volle grazia il ciel, ch’a questo passo
     105Teco, figliuol...? Qui tacque, nè più disse,
     Ch’ambe le luci fisse
     Al ciel avendo, il corpo quasi casso
     Parve di vita, ed ella farsi un sasso.
Turbosse allor il cielo
     110Per non veder che ’l cor di duol si svella
     Fra le più belle donne alla sì bella.


V. 3. Insubria, qui sta per Lombardia. Storicamente è la regione abitata un tempo dagli Insubri, nella Gallia Cisalpina, tra il Po, le Alpi, il Ticino e l’Adda.