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Il Canzoniere 267

     Che ’n me non può per tempo mai finire.
Questa è pur doglia, ch’ogni doglia avanza;
     50E sovra ogni credenza in me può tanto,
     Ch’i’ ne torrei morir per minor pena.
     E peggio or è, che for d’ogni speranza
     I’ vivo, che cessar mai debbia il pianto,
     Ch’esce dagli occhi miei con larga vena.
     55Ahi! vita amara, e piena
     D’aspri tormenti! I’ veggio ben ch’omai
     Sperar non debbo più diletto, o gioia,
     Ma sol angoscia, e noia,
     Che con dogliosi, e sempiterni lai
     60Mi tengan sempre fin ch’io viva in guai.
Che se per morbo il mio figliuol la vita
     Finita avesse, a poco a poco quale
     Suol avvenir in tal età sovente,
     Forse ch’all’aspro mio dolor aìta
     65Darei. Ma quand’i’ penso all’alte scale
     Cagion della rovina sì repente,
     Mancami allor la mente,
     Nè come viva resti dir saprei.
     Ahimè figliuolo! ahimè figliuol mio caro!
     70In tanto duol amaro
     Il resto lasci delli giorni miei,
     Che se morta non fossi i’ ne morrei.
Or quando mai potrò, figliuol vederti?
     Che senza te la vita non m’aggrada,
     75Ove mai sempre il cor doglioso geme?
     Lassa! che non feci io per ritenerti?
     Ma non puote Esculapio, o Apollo a bada
     L’alma tener in tante doglie estreme.
     Non valse il colto seme
     80A piena luna, e meno il suco d’erbe,