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Il Canzoniere 257

     Dal volgo mi sviaste, occhi la via
     8Voi soli agli occhi miei del ciel mostrate.
Dolci occhi e amari, altieri, umili e saggi,
     Occhi gioiosi, lieti, puri, e divi,
     11Chiari occhi, onesti, lampeggianti e vaghi,
Quando sarà che i vostri umani e vivi
     Lumi, che più del sol han caldi i raggi
     14Queto rimiri, e i miei martìri appaghi?


V. 1. Occhi, è l’idea fondamentale ed è, per il procedimento già osservato, la parola che ad ogni pie’ sospinto ritorna con prodigale profusione di aggettivi.


CLXXXV.

Esalta la propria fede d’amore.
        Ballata.


Dunque qual cera al fuoco
     L’alta mia spene consumar si vede,
     E vano è il desiar d’aver mercede?
Divengan tutti i miei pensier di ghiaccio
     5E vada ogni desir qual polve al vento,
     Nè grato il mio servir mai veggia farsi,
     In sì bel luogo ed alto il cor i’ sento
     E con sì stretto nodo quell’allaccio,
     Che non potrà per modo alcun slegarsi.
     10Il fuoco mai scemarsi
     Già non vedrassi perchè la mia fede
     12E l’altre tutte, e poi se stessa, eccede.


V. 4. Divengan, intendi: se anche ogni mio desiderio dovrà rimanere inappagato, e la mia servitù alla Mencia non sarà apprezzata, non per questo la mia fede verrà meno.

V. 12. Eccede, la mia fede tutte le altre fedi, e supera perfino se stessa.