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Introduzione 25

     Ivi lunga stagion allor cantasti,
     De i sensi accompagnato, e lor disio.
     Fur sempre liti in te, vi fur contrasti
     Sì l’appetito allora t’infollìo;
     Ma la Mencia gentil fu sempre tale
     Che a’ tuoi desir tarpò, con grazia, l’ale.


Ed è rammentata anche la morte della Mantovana (ivi):

Ti privò di costei morte dolente
     E del bel laccio il collo ti disciolse.

Chi fosse cotesta abitatrice delle rive del Mincio — in tutto o quasi paragonabile alla Laura del Petrarca — non è possibile, senza dare in avventate congetture, affermare. Le particolarità fisiche di lei, le sue doti morali — le consuete di tutta la poesia italiana coeva — ci consentirebbero forse, se ne valesse la pena, di delineare, come già fece il Renier per la donna nel Medioevo, il tipo estetico della donna nella finzione lirica dei poeti del Cinquecento. Senonchè fatta la tara alle amplificazioni esornative, le sparse allusioni non ci lasciano in mano attributi o referenze storiche sufficenti per discernere tra le gentildonne vissute in riva al Mincio, tra il 1515 e il 1527, quella che sovra tutte piacque al Bandello. Allo stato delle cose, l’uniformità da un lato con le donne cantate in quell’epoca, dall’altro l’indeterminatezza vaga in cui fluttua la fisonomia della Mencia, potrebbero perfino dar credito all’ipotesi che sia figura ideale, puro parto della fantasia del poeta. Ma la Mencia non è Beatrice. E sarebbe tempo perso smarrirci nei meandri di una discussione accademica sulla esistenza — o sull’inconsistenza — reale della donna cantata dal Bandello. Essa è donna, non fanciulla, e per la sua condizione di pudica sposa altrui, lusingata forse dell’omaggio in