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230 Matteo Bandello

     Genèbri, e lauri, che li bei contorni
     4Di questa ornate al Ciel sì cara valle:
Sentier erboso, e frequentato calle,
     Che ’n mezzo ai prati d’ogni fior adorni
     Mi meni, e poi girando mi ritorni
     8U’ par che primavera mai non falle;
Cari pastori, e pure pecorelle,
     Lascive capre, armenti ricchi, e voi
     11Numi del luogo i’ vi saluto, e adoro.
La città lascio, ed i fastidi suoi,
     Qui fan ch’i venga, mie fatali stelle,
     14U’ sol ritrovo al mio languir ristoro.


V. 3. Genèbri, ginepri.

V. 4. Valle cara al ciel, per noi di impossibile identificazione; nè è escluso si tratti di poetica fantasia.

V. 13. Fatali stelle, il mio prefisso destino; cfr. Petrarca: «Torcer da me le mie fatali stelle», Canzoniere, XVII, v. 11.


CLXV.

Ridice, anche una volta, il fascino degli occhi della Mencia.


Quand’Amor que’ begli occhi ne dimostra,
     Ove si spiega di bellezza il fiore,
     Tant’è la grazia, ch’indi n’esce fore,
     4Che sol per quei s’onora l’età nostra.
Fra ’l nero e bianco dolcemente giostra
     Con saggia purità sì vivo ardore,
     E un spiritel d’Amor con tal favore,
     8Ch’ogni cor lega in l’amorosa chiostra.
Ed io che senza lor lume non veggio,
     Al dolce sfavillar, i miei desiri