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228 | Matteo Bandello |
V. 1. A Cerere dea delle messi offre uve mature e, pure, sane e intatte.
V. 4. Gli suoi, i suoi discendenti, le genti sue future, come dice nel v. 8.
V. 9. Pale, dea della pastorizia presso le antiche popolazioni italiche che le solevano offrire tepido latte e focacce.
V. 11. Versi votivi e balli devoti, amorose carole.
CLXII.
Il fascino onnipossente e onnipresente della Mencia. In questo sonetto è osservabile l’artificioso gioco delle rime a bello studio ripetute identiche, salvo in due casi.
Qual forza d’erbe, o qual più duro incanto
Si vide mai, com’è di questa vaga
Donna gentil, che quinci e quindi vaga,
4Sì che pace non trovo in alcun canto?
Mal è per me s’io piango, mal s’i’ canto,
E pur la mente ho sol di pianger vaga,
Poich’Ella più del vento lieve, e vaga
8Sempre mi fugge ed emmi sempre accanto.
Che quella altiera, più ch’umana luce
Dì que’ begli occhi, in terra il vero sole,
11M’agghiaccia ed arde, e mai da me non parte.
Ma che mi vai se più per me non luce
Lieta e gioiosa, poichè sempre suole
14Nubilosa scoprirsi a parte a parte?
V. 1. Forza, virtù recondita di erbe. Si ripensi agli Erbarii e ai Bestiarii medievali dove tali virtù erano dichiarate; duro, forte, tenace, invincibile, incantesimo.
V. 8. Emmi, mi fugge e nel tempo stesso mi è sempre vicina.