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Il Canzoniere 225

     Vi fa ch’a Voi non fora Donna uguale
     4Se crudeltà non v’indurasse il core?
Se l’aureo crin d’argento avrà ’l colore,
     E del viso il bel giglio sarà quale
     L’increspa il tempo, nè uscirà più strale
     8Da que’ begli occhi, spento ’l lor ardore:
Rimirando nel fido, e antico speglio
     Direte con sospir: che fui! che sono!
     11Qual oggi è ’n me desir, qual voglia nova?
Di mie bellezze altrui far caro dono,
     Che sì fedel mi fu, quant’era meglio!
     14Potei, non volli; or sospirar che giova?


V. 4. V’indurasse, rendesse duro, crudele. È il petrarchesco: «E i cor, che ’ndura e serra | Marte superbo e fero», Canzoniere, CXXVIII, vv. 12-13.

Vv. 5-6. E il petrarchesco, son. sopracitato, vv. 5-7: «E i cape’ d’oro fin farsi d’argento, | E ’l viso scolorir...».

V. 11. Voglia nova, inusato in lei desiderio, quasi nostalgia d’amore.

V. 14. In questo verso è un’eco del celebre passo dantesco, che nella Divina Commedia ricorre, tal quale, due volte: «Vuolsi così colà dove si puote | Ciò che si vuole...», Inf., III, vv. 95-96; Idem., V, vv. 23-24. E di qui forse il Clasio (Luigi Fiacchi) il favolista moderno, trasse l’inspirazione per un suo verso: «Potea non volli, or che vorria non puote» nella favoletta I due susini.


CLIX.

Anche il poeta, novello Icaro, può ardere e perire della fiamma dell’amore della Mencia, se non segue la ragione.


Tocco dal fuoco di celesti rai
     Icaro cadde in mar; che ’l grand’ardire
     Tant’alto il fe’ poggiar, che più seguire
     4L’orme del padre egli non seppe mai.