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Il Canzoniere 217

     Sempre penando in sì diverse tempre;
     14Ch’Amor non vuol che l’alma a sperar s’erga.


V. 1. Perch’io, per quanto io; cfr. l’esordio della famosa ballata, che Guido Cavalcanti invia da Sarzana alla sua donna a Firenze: «Perch’i’ no spero di tornar giammai, | Ballatetta, in Toscana, | Va tu leggera e piana».

V. 2. Aperti campi, spaziose pianure, in contrapposto alle valli anguste e ai poggi.

V. 14. S’erga, si drizzi, si volga ad altra speranza.


CLI.

Elogio della bella mano della Mencia.


Da questa mano ch’or mi lega or scioglie,
     Nè mai perciò mi lascia senza il nodo,
     Son vinto e preso, e nella rete godo:
     4Sì dolcemente come vuol m’accoglie.
Quest’è la mano che la fama toglie
     A tutte l’altre; con sì mastro modo
     La fe’ natura: ond’io ringrazio e lodo
     8L’ora ch’a lei rivolsi le mie voglie.
Schietto alabastro, e bianchi gigli ancora
     Con perle orïentali ai diti avvolse
     11E d’ostro fino in parte gli colora.
Qual meraviglia dunque se mi tolse
     Il cor dal petto, e se mi lega ognora:
     14Se in lei natura ogni bellezza accolse?


V. 1. Della mano della Mencia già disse per incidenza: qui ne dice partitamente i pregi vantandola superiore ad ogni altra.

V. 6. Mastro, maestrevole modo.

Vv. 9-11. Questi stessi paragoni ricorrono nei son. CXXXV, vv. 2-3, son. CXLII, v. 1; e la fonte è la consueta, petrarchesca,