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198 | Matteo Bandello |
CXXXVI.
Sonetto intessuto dì reminiscenze mitologiche. La Mencia è inferma: il poeta invoca il favor d’Apollo.
Se della bella Dafne unqua ti calse,
Mentre fu donna, e poi ch’arbor divenne,
O biondo Apollo, e ’n fuoco ti mantenne,
4Tal che ’l tuo cor più volte ed arse ed alse:
Se dell’amato Ciparisso valse
L’aspro dolor, che nel morir sostenne,
Attristarti così, ch’ognor ti tenne
8Di lagrime pien gli occhi amare e salse;
Di questa assai più bella, ahimè! ti caglia,
Ch’inferma langue, e se la vita perde,
11Perderà ’l mondo tutti i veri onori.
Così ’l Cipresso, e ’l Lauro mai non vaglia
Sfrondar bifolco, e l’uno e l’altro verde
14Eterno sparga i suoi soavi odori.
V. 1. Unqua, se mai ti sei preso cura di Dafne prima e dopo la di lei metamorfosi in albero.
V. 5. Ciparisso, giovinetto dilettissimo ad Apollo che questi, trovatolo sul punto di togliersi la vita per l’involontaria uccisione di un cervo da lui allevato e grandemente amato, mutò in cipresso.
V. 12. Così, tono augurale. Il bifolco mai non pervenga a sfrondare cipresso o lauro delle loro foglie e fronde d’un verde sempiterno.