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braccia del suo dolce amico», ivi, vv. 1-3. — Titone, figlio di Laomedonte, marito dell’Aurora. Spunta adunque l’aurora.

V. 4. E Progne rinnovella il vecchio pianto cfr.: «Nell’ora che comincia i tristi lai | La rondinella presso la mattina, | Forse a memoria de’ suoi primi guai...», ivi, vv. 13-15. — Allude anch’egli, come Dante alla favola raccontata da Ovidio (Metomorfosi, VI, 424 sgg.) di Progne trasformata in usignuolo e Filomela o Filomena in rondine.

V. 6. Sento, non vede; dorme.

V. 9. Sognarmi, sogna di sognare!

V. 14. Sentissi, avesti la percezione della sua presenza; cfr. v. 6.


CXXXIV.

Nuove peregrinazioni del poeta. Anche di lontano gli occhi della Mencia gli incendiano il cuore.
        Ballata.


Che giova star assente
     Da’ bei vostr’occhi, Donna, se ’l bel fuoco
     Di quei m’incende e sfammi in ogni loco?
Poichè la cruda e fiera dipartita
     5Da Voi lontan mi tiene,
     Altro non è che morte il viver mio.
     Perchè Amor vuol, che ’l cor di duol si svene,
     E morte la mia vita
     Finisca in tutto. Ahi stato duro e rio!
     10Lunge da Voi mor’io,
     Se poi vi son presente sì m’infuoco,
     12Ch’ardendo i’ moro a poco, a poco, a poco.


V. 3. Sfammi, mi sfa, mi distrugge.

V. 7. Si svene, svenga, venga meno.

V. 12. Ripetizione che dà bene il senso del suo lento morire, per il fuoco che lo strugge. Richiama per la struttura e per il suono il noto verso petrarchesco: e «I’ vo gridando: Pace, pace, pace», Canzoniere, CXXVIII, v. 122.